martedì 24 aprile 2007

Sottopongo ai giovani virgulti della creatività pubblicitaria una riflessione che analizza in termini critico-semiologici l’ambito proprio della loro attività. È uno spunto stimolante che può essere l’avvio di una, spero proficua, riflessione.

“Una indagine retorica pubblicitaria ci porterebbe alle seguenti conclusioni:

1) Topoi e tropi sono strettamente codificati e ogni messaggio non fa che ripetere ciò che l’utente già si attendeva e conosceva.

2) Le premesse sono nella maggioranza dei casi accettate senza discussioni anche se false, e comunque non sono né ridefinite né poste in discussione.

3) L’ideologia evocata da qualsiasi comunicazione è quella del consumo.

4) Dato che i campi entimematici sono talora così complessi che non è concepibile che siano colti ogni volta dal destinatario, c’è da pensare che ormai, in base ai processi di codificazione assai stretti, anche i processi argomentativi siano ricevute come sigle di sé stessi, come segno convenzionale. Si passerebbe in tal caso dall’argomentazione all’emblematica. L’annuncio non esporrebbe le ragioni per cui comportarsi in un certo modo, ma esporrebbe una bandiera, uno stemma, a cui per convenzione si risponde in un certo modo.

Queste conclusioni porrebbero in forse l’efficacia del discorso pubblicitario. Potrebbe essere obiettate che di fatto certe comunicazioni funzionano più di altre, ma sarebbe lecito domandarsi qual è il ruolo giocato dalla persuasività dell’argomentazione, quale quello giocato da altri fattori extracomunicativi che sfuggono all’analisi di chi si sofferma solo sull’analisi del messaggio. (…..)

L’ipotesi che ci ha accompagnato in questa proposta di ricerca è che probabilmente la comunicazione pubblicitaria, così legata alla necessità del ricorso al già acquisito, si avvalga per lo più di soluzioni già codificate. In tal caso una mappa retorica della pubblicità servirebbe a definire senza possibilità di illusioni l’estensione entro il quale il pubblicitario, che si illude di inventare nuove formule espressive, di fatto sia parlato dal proprio linguaggio.

La funzione morale della ricerca semiologia consisterebbe allora nel ridurre le illusioni “rivoluzionarie del pubblicitario idealista, che trova continuamente un alibi estetico al proprio lavoro di “persuasore a comando” nella convinzione di stare lavorando alla modificazione dei sistemi percettivi, del gusto, delle attese del proprio pubblico, di cui provvederebbe Ad un contino tirocinio dell’intelligenza e della immaginazione. Potrebbe essere allora interessante prendere coscienza del fatto che la pubblicità non ha alcun valore informativo. Anche se questi suoi limiti non dipendono dalla possibilità di un discorso persuasivo (i cui meccanismi permettono avventure ben più nutritive) ma dalle condizioni economiche che regolano l’esistenza del messaggio pubblicitario”.

(U. Eco, La struttura assente)

3 commenti:

matteo ha detto...

Intanto scusate ma prima della riflessione...vorrei sommessamente fare notare che ci sono alcuni termini che non conoscevo...e che ho ricercato e trovato.
Ve li posto qui nel caso alcuni non li conoscessero come me...gnuranti.

Topoi: luoghi comuni

Tropi: figure di significato che riguardano il cambiamento del significato delle parole

Entimematici: asserzioni ellittiche, che sottintendono qualcos'altro.

Gabo...scusa le precisazione ma è un blog collaborativo ;)

maschio da caserma ha detto...

Tu sei completamente pazzo..con affetto maschio...

adverteaser ha detto...

Quand'anche la tua forza di persuasione fosse più che ingente, ciò non mi indurrebbe affatto a prendere in considerazione una siffatta mistificazione del vero.
Poniamo in forse "l'efficacia del discorso pubblicitario"? Sarei curioso di sapere quale orologio ha al polso Umbertone.
"La pubblicità non ha alcun valore informativo?" Anche quando lancio un nuovo prodotto? Non ma convintu...