Ultimamente navigando in internet mi è capitato di trovare sul sito dell’agenzia di Aldo Biasi un ardito accostamento tra arte e pubblicità che ha chiamato in causa i miei trascorsi filosofici spingendomi ad alcune riflessioni che non ho mancato di sottoporgli. Alla mia e-mail Aldo Biasi ha dato una breve risposta che però non entra nel merito dei miei rilievi. Ritengo il tema degno di attenzione e spero che lo scambio che riporto di seguito sia l’occasione per un confronto che, per gli sparuti lettori del presente blog, possa essere stimolante.
Nella sezione “le parole di Aldo” del sito www.aldobiasi.com si può leggere quanto segue:
“Il nostro lavoro è convincere gente simile a noi ad acquistare dei prodotti di cui, quando va bene, ha necessità e quando va male non sente il bisogno.
Questa operazione di convincimento passa sotto il nome di "creatività".
La creatività è un complesso miscuglio di emozioni, provocazioni, razionalità, informazioni, sorpresa, lacrime, sorrisi, scandalo, normalità.
Tutto questo, in passato, aveva un altro nome: arte.
La differenza tra ieri ed oggi è il consumo. Come il prodotto è oggetto di consumo così la creatività si consuma, così l'arte si produce e si butta via...è, per dirla in termini marketing, disposible.
Non cambia, però, il cuore del problema: la gente come noi ha un bisogno insaziabile di quel miscuglio di emozioni, provocazioni, razionalità, informazioni, sorpresa, lacrime, sorrisi, scandalo, normalità che abbiamo definito creatività e che una volta si chiamava arte.
Questo è il lavoro che facciamo e che vendiamo alle aziende disposte a comprarlo.
Affinché i loro prodotti si consumino.”
Al casuale incontro con questa acuta considerazione è seguito il breve scambio cui accennavo:
Gentile Aldo Biasi,
spigolando per i mari della navigazione telematica, mi sono imbattuto, leggendo la sezione del sito della sua agenzia intitolata in termini oracolari “le parole di Aldo”, in una sua considerazione che accosta, a mio avviso in modo improvvido e corrivo, arte e pubblicità. Le invio, dunque, la presente e-mail per proporle una mia riflessione, che intende interloquire con lei in merito. Come intendeva Magritte arte è solo ciò che riesce a svuotare le immagini dal senso che esse hanno per ognuno di noi, e le riconsegna allo sguardo innocente in grado di incontrare il loro insensato esistere. Ovvero, il miracolo del loro gratuito e ‘solitario’ esserci. Una considerazione dello specifico dell’arte che va in una direzione affatto opposta a quella indicata dall’ambito proprio della pubblicità, la quale, come afferma Umberto Eco, non fa che percorrere e sfruttare il senso usuale delle cose per stabilire un contatto immediato con il proprio destinatario, essendo il suo fine specifico quello di persuadere e non quello di lavorare ad una disarticolazione immaginativa della realtà fattuale. Dice Eco a proposto: “ una mappa retorica della pubblicità servirebbe a definire senza possibilità di illusioni l’estensione entro il quale il pubblicitario, che si illude di inventare nuove formule espressive, di fatto sia parlato dal proprio linguaggio. La funzione morale della ricerca semiologia consisterebbe allora nel ridurre le illusioni “rivoluzionarie del pubblicitario idealista, che trova continuamente un alibi estetico al proprio lavoro di “persuasore a comando” nella convinzione di stare lavorando alla modificazione dei sistemi percettivi, del gusto, delle attese del proprio pubblico, di cui provvederebbe ad un contino tirocinio dell’intelligenza e della immaginazione”. Il pubblicitario, per il contesto economico che fa da sfondo alla sua attività, è in termini lacaniani una efflorescenza di secondo grado rispetto alle determinanti ultime che ne inscrivono l’attività nel cerchio ristretto della retorica del già sentito. Credo che anche alla luce di queste brevi spunti di riflessione si possa riportare arte e pubblicità a sfere di azione distinte restituendo a ciascuna la sua dignità propria e la sua specifica funzione.
Gabriele
Egregio Signor Manco,
premesso che le definizioni dell' arte sono numerosissime e quella di Magritte, per quanto autorevole, è una delle tante e finalizzata a vendere la sua merce, mi limito ad osservare che dalle sue dotte citazioni emerge una visione piuttosto statica e stereotipata sia dell'arte che della pubblicità. Le suggerisco di provare a rivederle: in fondo lo sforzo di un accenno di elaborato mentale non è mai una idiozia.
Aldo
Gentile Aldo Biasi,
la ringrazio per l'attenzione prestatami, devo però ribadire che in tema di arte rispetto ad un seppur valente pubblicitario mi sento di considerare più autorevole un artista come Magritte; citato non a caso, in quanto con la radicalità del suo assunto teorico-artistico ha costituito un termine di confronto per intellettuali del calibro di Merleau-Ponty, Foucault e per le moderne concezioni estetiche. Se non la convince Magritte sullo stesso piano le propongo la riflessione di Heidegger il quale afferma "ciò che è in opera nell'opera d'arte è l'apertura (Eroffnung) dell'ente nel suo essere, il farsi evento della verità". L'essenza dell'arte consiste nel porsi nel suo disvelamento delle verità dell'ente, la quale non può avere nessun rapporto, come lei capirà, con la strumentalità finalizzata al consumo propria di ogni messaggio pubblicitario. Vede, quello che proprio non può rientrare all'interno di un discorso intorno all'arte è quel criterio economicistico che informa la mentalità di chi opera in ambito pubblicitario e che fa drammaticamente capolino in quella sua frase, del tutto rivelatoria, intorno alla finalità della definizione di Magritte che lei dice: "è una delle tante e finalizzata a vendere la sua merce". Quello che le ho proposto è una ridefinizione dei limiti propri del linguaggio pubblicitario e della sua presunta creatività poiché imprescindibilmente legata all'orizzonte asfittico del profitto. Un approccio più umile e realistico da parte di chi si occupa di pubblicità sui temi dell'arte e della creatività credo potrà essere accolto come un proficuo "sforzo di un accenno di elaborato mentale".
Gabriele
Non ho ancora ricevuto risposta alla mia replica, ma questo è probabilmente da addebitare al fatto che Aldo sarà troppo impegnato ad inseguire la sua musa. L’arte, si sa, ha le sue esigenze.
3 commenti:
Carissimo Gabriele,
per usare un paragone minimalista sei
piombato sul povero Aldo come una portaerei su un canotto...
Aldo è un bravissimo copywriter, ma questa volta gli é scappata la penna. Anch'io leggendo il suo oracolo sono rimasto perplesso dall'ardito accostamento, sebbene lo abbia subito contestualizzato come "tentativo di vendersi bene".
Non ti risponderà mai.
Un abbraccio agli sparuti lettori.
Approfitto dello spazio di incontro offerto da questa agorà virtuale per salutare adverteaser, puntuale chiosatore dei miei post e per rivolgere un pressante appello a che la sapida ironia di maschio da caserma si rifaccia viva in queste lande.
Bé non ho capito nulla! Ma secondo me hai ragione tu...confrontati con il Prof. Valletta su questa suggeativa tematica
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